domenica 27 febbraio 2011
FUORI DALL'INTESTINO, VIVA L'ITALIA!
penso che la vera sfida per gl'italiani di buona volontà nei prossimi anni sarà tenere le bocce ferme, e capire quand'è il momento di giocare e tirare. cool down.
da troppi anni la vita sociale, politica e culturale italiana è fuori misura, con una comunicazione esacerbata, una confusione continua di toni, stili e contenuti, un gioco al ribasso e rialzate improvvise continue. è lo stile dalla cosiddetta destra: mischiare i lati più gretti del fascismo (un populismo venato di repressione) all'affarismo spregiudicato rivestito di modernità aspirazionale della TV. e riesce bene qui in Italia, paese fresco di unità, con una miriade di identità locali, figlie di dominazioni diverse, tenute insieme dalla Liberazione in poi (con fatica) da TV e scuola pubbliche.
è bastato far vedere qualche canale privato, far notare che era nuovo (lo era davvero) e che soprattutto era gratis, in un territorio dove la gente faceva fatica a sentir proprio lo stato unitario. e in un'epoca dove la tecnologia va più veloce delle capacità umane di starle dietro, dove gli aeroplani consentono lo spostamento facile, dove internet permette una diffusione di contenuti (e valorizzazione delle diversità) mai vista, i fascisti elettronici (che sono poco più che borghesi, paesani, papisti e mafiosi alleati) riescono a far gruppo, e soprattutto a confondere gli altri. ma la sfida resta aperta. temo anche che l'ideologismo dogmatico "di sinistra" in questi anni abbia addirittura fatto da lievito al fascismo elettronico. anzi, no temo: ne sono sicuro, con tutti gli autori "di sinistra" che Berlusconi ha. ma anche la "sinistra" ha fatto il suo tempo.
chissà come andrà a finire, visto che qui da noi - arrivati al fondo - si riesce sempre a scavare ancora. si riuscirà a trovare regole nuove in coerenza con il resto del mondo, quando razze e culture si mischiano come prima era impossibile fin da immaginare? o la razza umana qui da noi prima che altrove si rivelerà un esempio fallito?
cool down. il bunga bunga l'abbiamo subito come nazione. e non è un divertimento innocuo, come cerca di minimizzare l'orribile Presidente del Consiglio. gliel'ha insegnato Gheddafi infatti, quello che bombarda le manifestazioni di dissenso con gli aerei. il bunga bunga è uno stupro anale. abbiamo provato il fist-fucking e non ci è piaciuto.
l'opera grafica di cooemnto al post è di Pietro Balbi
venerdì 25 febbraio 2011
DESIDERIA.
como un flash, una madeleine audio. dev'essere fine anni '90, non lavoravo ancora a Torino. già da molti anni ero fidanzato, e siccome lui prima di me era etero, per un po' di anni siamo andati in giro per locali gay o misto terital per vedere com'era (stare chiusi in casa a metter su le tendine, mai).
non si faceva quasi più sesso nei locali, eravamo in piena paranoia AIDS, tirava un'aria da disfatta totale, c'era poco di cui essere gai. finché un sabato sera siamo allora andati in una disco etero per capire come s'era sviluppata la scena house, quella post acid-house, visto che il mio amico Marco che mi ci avrebbe portato non c'era più.
il locale si chiamava Desideria (Bergamo? Brescia?). in mezzo alle campagne, impossibile da trovare finché appare: una via di mezzo tra un ranch, un drugstore tipo David Lynch e una rimessa di camion. suonava così.
risentirlo molti anni dopo fa effetto. penso che erano meglio questi, davvero fuori e un po' deragliati, rispetto a Taffy, Sandy Marton e Cecchettoland. che siamo finiti male governati dal mondo piccolo borghese di Canale 5 che mischia bunga-bunga e rispettabilità. e magari quelli che ballavano al Desideria votano Lega Nord.
non si faceva quasi più sesso nei locali, eravamo in piena paranoia AIDS, tirava un'aria da disfatta totale, c'era poco di cui essere gai. finché un sabato sera siamo allora andati in una disco etero per capire come s'era sviluppata la scena house, quella post acid-house, visto che il mio amico Marco che mi ci avrebbe portato non c'era più.
il locale si chiamava Desideria (Bergamo? Brescia?). in mezzo alle campagne, impossibile da trovare finché appare: una via di mezzo tra un ranch, un drugstore tipo David Lynch e una rimessa di camion. suonava così.
risentirlo molti anni dopo fa effetto. penso che erano meglio questi, davvero fuori e un po' deragliati, rispetto a Taffy, Sandy Marton e Cecchettoland. che siamo finiti male governati dal mondo piccolo borghese di Canale 5 che mischia bunga-bunga e rispettabilità. e magari quelli che ballavano al Desideria votano Lega Nord.
giovedì 17 febbraio 2011
LA DERIVA DELL'OMOSESSUALITÀ.
Alcune volte avvengono cortocircuiti nella testa per cause inaspettate e contingenti. Ingrediente A. Ho appena letto un pezzo dal blog del mio amato Mark Simpson (l'uomo che ha inventato parole e concetti come anti-gay, metrosexual, sporno e retrosexual... praticamente un Oscar Wilde decostruzionista), dove scrive di Born This Way, l'ultimo singolo di Lady Gaga. Ingrediente B. Ho incrociato stanotte - di ritorno a casa sul tram - un articolo non troppo profondo della rivista PRIDE sulle chat GPS gay (ossia il telefonino che dice a chi interessa che hai voglia di scopare e a quanti km di distanza sei). Ingrediente C. Ero stato ad una riunione all'Arci Gay Milano che aveva come "contare di più come comunità GLBT XYZ a Milano in vista delle elezioni amministrative" (sfida ideale per difficoltà: sa di paradosso e quasi di barzelletta, visto che a Milano ci sono più omosessuali che alberi). I tre ingredienti girano nella testa senza sosta, come in una lavatrice.
Cominciamo con l'unico Simpson che preferisco a Bart. Scrive fulminante di Born This Way: "Lasciamo stare giudizi tipo “la canzone più gay mai composta“. È semplicemente troppo gay per essere suonata. Sospetto sia anche troppo gay per i gay. Troppo paternalista e rozza e debole. Faranno finta di amarla per qualche settimana poi la dimenticheranno tranquillamente. Sarà l'inno dimenticato più velocemente di tutta la storia. Come pop song acchiappa, naturalmente, e farà un sacco di soldi. Ma in questa canzone tutto sembra andare in retromarcia: la musica, le parole, il modo di ragionare, il contenuto politico. Per tutta la buona volontà che contiene penso sia una canzone priva di contenuto. E traboccante di stronzate. Non solo per quel "born this way" e quel "Dio non fa errori" che comporta la trasformazione del gay in una specie di comunità etnica... La sessualità è anche un treno che stantuffa e va. Beh, fatemi scendere dal treno"... e continua (come puoi leggere appunto nel blog di Mark).
Poi c'è il pezzo di Paolo Colonna sulla rivista Pride sulla scopata garantita dal telefonino, il cui portato s'incrocia con altri articoli dello stesso numero della rivista. Ad esempio "Come sta la notte?" di Stefano Bolognini sulla morte in tutto il mondo avanzato del locale gay (ad eccezione di Polonia, Singapore o Catania). O "Sulle piste degli orsi"... di Marco Albertini sullo stato di saluto della sottocultura bear, chelui descrive con partecipe divertimento ma a me sembra da tempo trasformata da interessante fenomeno di affermazione a riappropriazione a nuovo conformismo modaiolo (peloso).
Il tutto ha a che vedere con l'impatto di internet sulla vita degli uomini sessuali.
A parte i posti dove, come sottolinea Bolognini, vedersi e incontrarsi fisicamente ha ancora un senso (alle 3 località di cui sopra si aggiungono presempio Shangai e Cuba), nei locali dei paesi ricchi ci vai solo per incontrare quelli della tua sottocultura specifica. E questo vale ormai anche per gli etero che il consumismo ha in qualche modo "omosessualizzato" e alienato negli ultimi decenni. Anche se quella che chiamavamo sottocultura è ormai innocua e gli orsi si sono trasformati o si rivelano semplicemente parrucchieri.
Paradossalmente la specializzazione è l'unica soluzione possibile per i gay, una glamourosa strada senza uscita. Se riescono a tirarti fuori i soldi di tasca così...
Oppure, nel mondo che si civilizza, ci sono i bar mixed e alternativi (tipo Mono o l'Elephante) che si frequentano con le amiche/amichi, e non per trovare da trombare.
Il che non è del tutto male: se - liberandoci la testa da giudizi morali e costruzioni storiche - l'omosessualità è solo una specializzazione di genere, si capisce perché possono permettersela di più le nazioni ricche e benestanti. E oggi riconfluirà come contributo poetico e umano nel flusso dell'umanità. Ma certo capirne valore, ragione e potenzialità richiederebbe un'onestà e una determinazione che al sistema dei consumi interessa poco.
E torniamo al Simpson: l'omosessualità diventa un soprammobile inutile, chincaglieria vintage (la predica di Gaga).
Comincio a pensare che assisteremo sempre più nei prossimi anni a questa drastica ridefinizione dell'omosessualità. Non ce n'è più bisogno, è volgare e si sta molto meglio nell'armadio del proprio sottogruppo sociale oppure ordinando i maschi online senza bisogno che nessuno sappia.
A meno che l'ovulo di tua madre e lo spermatozoo di tuo padre non s'incontrino in Uganda o altri posti dove quelli come te li uccidono ancora, ti limiterai a ostentare un'appartenza con un paio di mutande firmate Stefano e Domenico. E il Gay Pride sarà "volgare". E l'Arcy Gay di Milano che inventa serate da ballo si sentirà accusato (così mi hanno detto ieri sera) di essere "comunisti che fanno i soldi sulle nostre spalle" dai gay che votano Berlusconi.
Vivrai come un criceto sulla rotella in gabbia o un'upupa del parco naturale.
Finché dura. Difficilmente ci riproveranno con le camere a gas.
Certo se leggi (ma è difficile, nessun TG ne parla) della morte di un eroe come David Kato ti spiace. E la dimentichi con un gin lemon. Nessuno ti dirà che è legata alla propaganda delle chiese americane in paesi poveri come l'Uganda.
Omosessualità è una parola obsoleta, e non sai bene cosa fare del tuo desiderio. Torna ad essere l'amore che non osa pronunciare il suo nome. E speriamo che sia per pensarci su meglio, la speranza è sempre l'ultima a morire.
Nel frattempo, meglio una passeggiata al parco con un'amica. E chissà come faremo per farci rispettare a Milano, visto che nascondiamo.
Alla radio del bar trasmettono Lady Gaga.
Cominciamo con l'unico Simpson che preferisco a Bart. Scrive fulminante di Born This Way: "Lasciamo stare giudizi tipo “la canzone più gay mai composta“. È semplicemente troppo gay per essere suonata. Sospetto sia anche troppo gay per i gay. Troppo paternalista e rozza e debole. Faranno finta di amarla per qualche settimana poi la dimenticheranno tranquillamente. Sarà l'inno dimenticato più velocemente di tutta la storia. Come pop song acchiappa, naturalmente, e farà un sacco di soldi. Ma in questa canzone tutto sembra andare in retromarcia: la musica, le parole, il modo di ragionare, il contenuto politico. Per tutta la buona volontà che contiene penso sia una canzone priva di contenuto. E traboccante di stronzate. Non solo per quel "born this way" e quel "Dio non fa errori" che comporta la trasformazione del gay in una specie di comunità etnica... La sessualità è anche un treno che stantuffa e va. Beh, fatemi scendere dal treno"... e continua (come puoi leggere appunto nel blog di Mark).
Poi c'è il pezzo di Paolo Colonna sulla rivista Pride sulla scopata garantita dal telefonino, il cui portato s'incrocia con altri articoli dello stesso numero della rivista. Ad esempio "Come sta la notte?" di Stefano Bolognini sulla morte in tutto il mondo avanzato del locale gay (ad eccezione di Polonia, Singapore o Catania). O "Sulle piste degli orsi"... di Marco Albertini sullo stato di saluto della sottocultura bear, chelui descrive con partecipe divertimento ma a me sembra da tempo trasformata da interessante fenomeno di affermazione a riappropriazione a nuovo conformismo modaiolo (peloso).
Il tutto ha a che vedere con l'impatto di internet sulla vita degli uomini sessuali.
A parte i posti dove, come sottolinea Bolognini, vedersi e incontrarsi fisicamente ha ancora un senso (alle 3 località di cui sopra si aggiungono presempio Shangai e Cuba), nei locali dei paesi ricchi ci vai solo per incontrare quelli della tua sottocultura specifica. E questo vale ormai anche per gli etero che il consumismo ha in qualche modo "omosessualizzato" e alienato negli ultimi decenni. Anche se quella che chiamavamo sottocultura è ormai innocua e gli orsi si sono trasformati o si rivelano semplicemente parrucchieri.
Paradossalmente la specializzazione è l'unica soluzione possibile per i gay, una glamourosa strada senza uscita. Se riescono a tirarti fuori i soldi di tasca così...
Oppure, nel mondo che si civilizza, ci sono i bar mixed e alternativi (tipo Mono o l'Elephante) che si frequentano con le amiche/amichi, e non per trovare da trombare.
Il che non è del tutto male: se - liberandoci la testa da giudizi morali e costruzioni storiche - l'omosessualità è solo una specializzazione di genere, si capisce perché possono permettersela di più le nazioni ricche e benestanti. E oggi riconfluirà come contributo poetico e umano nel flusso dell'umanità. Ma certo capirne valore, ragione e potenzialità richiederebbe un'onestà e una determinazione che al sistema dei consumi interessa poco.
E torniamo al Simpson: l'omosessualità diventa un soprammobile inutile, chincaglieria vintage (la predica di Gaga).
Comincio a pensare che assisteremo sempre più nei prossimi anni a questa drastica ridefinizione dell'omosessualità. Non ce n'è più bisogno, è volgare e si sta molto meglio nell'armadio del proprio sottogruppo sociale oppure ordinando i maschi online senza bisogno che nessuno sappia.
A meno che l'ovulo di tua madre e lo spermatozoo di tuo padre non s'incontrino in Uganda o altri posti dove quelli come te li uccidono ancora, ti limiterai a ostentare un'appartenza con un paio di mutande firmate Stefano e Domenico. E il Gay Pride sarà "volgare". E l'Arcy Gay di Milano che inventa serate da ballo si sentirà accusato (così mi hanno detto ieri sera) di essere "comunisti che fanno i soldi sulle nostre spalle" dai gay che votano Berlusconi.
Vivrai come un criceto sulla rotella in gabbia o un'upupa del parco naturale.
Finché dura. Difficilmente ci riproveranno con le camere a gas.
Certo se leggi (ma è difficile, nessun TG ne parla) della morte di un eroe come David Kato ti spiace. E la dimentichi con un gin lemon. Nessuno ti dirà che è legata alla propaganda delle chiese americane in paesi poveri come l'Uganda.
Omosessualità è una parola obsoleta, e non sai bene cosa fare del tuo desiderio. Torna ad essere l'amore che non osa pronunciare il suo nome. E speriamo che sia per pensarci su meglio, la speranza è sempre l'ultima a morire.
Nel frattempo, meglio una passeggiata al parco con un'amica. E chissà come faremo per farci rispettare a Milano, visto che nascondiamo.
Alla radio del bar trasmettono Lady Gaga.
martedì 15 febbraio 2011
SOCIOLOGICO, MA CHE DICO ANTROPOLOGICO.
era una proiezione gratuita su invito del Comune di Milano. il film era “Il Cigno Nero”, candidato a ben 5 Oscar. e il cinema era il Dal Verme: solo 30 anni fa da glorioso cinema teatro si era col tempo degradato fino a diventare negli anni ‘70 un cine gay di battuage, e in pieno centro (foro Buonaparte!). ormai proiettava i porno (etero).
famoso tra i miei amici era il racconto di una scena riportata dal mio amico Enzo Lancini come uno spettacolo. fu quando nella scena di un film qualunque in una serata qualsiasi, mentre il viavai tra tende rosse pesanti e gabinetti continuava, un’inquadratura particolarmente osé portò sul grande schermo in primissimo piano una vagina gigante. una checca tra le tende urlò “ma vaaa... datela al gatto”.
adesso il Dal Verme l’hanno restaurato ed è un gioiello della Milano che insomma. il pubblico della serata sembrava messo insieme con un mix di metodo e noia: cinefili giovani, vecchi, amichi di funzionari, funzionari in pensione, raccomandati e amici, giornaliste snob delle cause perse, un’altra decine di tipologie random.
l’assessore alla Cultura del Comune, quello col nome che sembra una marca di sanitari, Finazzer Flory ha detto nella presentazione microfonata che aveva già visto il film, "la splendida interprete da vicino" (che invidia!) e aveva lottato per averlo in anteprima a Milano “...duro, difficile... parla di un tema finora poco trattato” (quale?, chiederei adesso che il film l’ho visto) e ha continuato “è un’opera di riilevo sociologico, ma che dico, antropologico”.
non so che cos’avesse visto l’Asesur ma “Il cigno nero” è un pastiche di banalità psicoqualcosa, luoghi comuni senza lievito ed effetti poco speciali, dopo la prima ora ho pensato “meno male che non ho pagato”.
e continuava il cortocircuito che mi faceva la proiezione in quella sala (una nemesi del sesso pur miseramente praticato contro quello nobilmente evocato?).
quest’analisi del Bene e del Male legati alla sessualità attraverso l’arte (dalla danza classica che eleva al legame tra artista e impresario, con la figura materna ossessiva e il senso di persecuzione vs la ricerca di eccellenza) è nobile. ma parte alla ricerca dell’Assoluto e finisce dal parrucchiere.
fino a metà film ho pensato che l'esito involontario del film fosse dimostrare che l'eterosessualità istituzionalizzata è una forma di malattia mentale.
ma con pazienza, e sentendo l’approvazione del pubblico non pagante, ho poi capito che “il cigno nero” è un’opera d’arte coerente e perfetta. è un’ascesi per un pubblico di un’epoca minorata, lo psicodramma aspirazionale senza altre pretese che far sentire intelligente la sciura e il faccendiere negli anni dell’inebetimento televisivo assoluto. ma ci riesce.
"il Cigno Nero" è la stupidità da reality show mandata nel castello degli specchi dopo averla fatta bere un po'. ma l’Assessore l'ha trovato divino, e forse con lui anche la donna famosa che fotografavano all’uscita. indifferente ai flash come una diva perduta (forse mai arrivata). fremevano le sue labbra che avevano conosciuto il bisturi, e molte volte, fino a dimenticare per cosa erano state create. degna celebrità di degno pubblico in degna città.
contenuto e contesto ci ricordavano di essere nell’ex Capitale Morale d’Italia, ora covo delle bande seminasabbianegliocchi di Berlusconia e del cui governo locale l’Assessore è eminenza culturale. la proiezione gratuita infatti sapeva già di campagna elettorale. il Finazzer Flory - che ha molto lottato per portare tra noi “il Cigno Nero” - ha anche promesso che sarà solo il primo tra i film in anteprima per la Città di Milano “che lo merita, perché con un film al mese così... “.
veniva da concludere la frase da lui lasciata in sospeso “...perfezioniamo l’opera di dementizzazione dell’esistente”. con la conferma degli Oscar, chissà. ne hanno tanti da dare ogni anno, e qualcuno arriverà anche a questo cataplasma proiettato al Dal Verme.
famoso tra i miei amici era il racconto di una scena riportata dal mio amico Enzo Lancini come uno spettacolo. fu quando nella scena di un film qualunque in una serata qualsiasi, mentre il viavai tra tende rosse pesanti e gabinetti continuava, un’inquadratura particolarmente osé portò sul grande schermo in primissimo piano una vagina gigante. una checca tra le tende urlò “ma vaaa... datela al gatto”.
adesso il Dal Verme l’hanno restaurato ed è un gioiello della Milano che insomma. il pubblico della serata sembrava messo insieme con un mix di metodo e noia: cinefili giovani, vecchi, amichi di funzionari, funzionari in pensione, raccomandati e amici, giornaliste snob delle cause perse, un’altra decine di tipologie random.
l’assessore alla Cultura del Comune, quello col nome che sembra una marca di sanitari, Finazzer Flory ha detto nella presentazione microfonata che aveva già visto il film, "la splendida interprete da vicino" (che invidia!) e aveva lottato per averlo in anteprima a Milano “...duro, difficile... parla di un tema finora poco trattato” (quale?, chiederei adesso che il film l’ho visto) e ha continuato “è un’opera di riilevo sociologico, ma che dico, antropologico”.
non so che cos’avesse visto l’Asesur ma “Il cigno nero” è un pastiche di banalità psicoqualcosa, luoghi comuni senza lievito ed effetti poco speciali, dopo la prima ora ho pensato “meno male che non ho pagato”.
e continuava il cortocircuito che mi faceva la proiezione in quella sala (una nemesi del sesso pur miseramente praticato contro quello nobilmente evocato?).
quest’analisi del Bene e del Male legati alla sessualità attraverso l’arte (dalla danza classica che eleva al legame tra artista e impresario, con la figura materna ossessiva e il senso di persecuzione vs la ricerca di eccellenza) è nobile. ma parte alla ricerca dell’Assoluto e finisce dal parrucchiere.
fino a metà film ho pensato che l'esito involontario del film fosse dimostrare che l'eterosessualità istituzionalizzata è una forma di malattia mentale.
ma con pazienza, e sentendo l’approvazione del pubblico non pagante, ho poi capito che “il cigno nero” è un’opera d’arte coerente e perfetta. è un’ascesi per un pubblico di un’epoca minorata, lo psicodramma aspirazionale senza altre pretese che far sentire intelligente la sciura e il faccendiere negli anni dell’inebetimento televisivo assoluto. ma ci riesce.
"il Cigno Nero" è la stupidità da reality show mandata nel castello degli specchi dopo averla fatta bere un po'. ma l’Assessore l'ha trovato divino, e forse con lui anche la donna famosa che fotografavano all’uscita. indifferente ai flash come una diva perduta (forse mai arrivata). fremevano le sue labbra che avevano conosciuto il bisturi, e molte volte, fino a dimenticare per cosa erano state create. degna celebrità di degno pubblico in degna città.
contenuto e contesto ci ricordavano di essere nell’ex Capitale Morale d’Italia, ora covo delle bande seminasabbianegliocchi di Berlusconia e del cui governo locale l’Assessore è eminenza culturale. la proiezione gratuita infatti sapeva già di campagna elettorale. il Finazzer Flory - che ha molto lottato per portare tra noi “il Cigno Nero” - ha anche promesso che sarà solo il primo tra i film in anteprima per la Città di Milano “che lo merita, perché con un film al mese così... “.
veniva da concludere la frase da lui lasciata in sospeso “...perfezioniamo l’opera di dementizzazione dell’esistente”. con la conferma degli Oscar, chissà. ne hanno tanti da dare ogni anno, e qualcuno arriverà anche a questo cataplasma proiettato al Dal Verme.
mercoledì 2 febbraio 2011
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