Noto strane coincidenze per spiegare una reazione che ho sentito inevitabile: 15 giorni fa ho scritto una parola “vietata” dal più frequentato social network, un incidente banale si direbbe e sono stato punito. Questo ha scatenato in me una decisione che da tempo doveva essere presa: smettere di scrivere lì cose intime e personali. Se userò ancora Facebook sarà per mettere “like” o condividere iniziative ma preferirò scrivere le cose personali in privato o appunto in iper-pubblico: qui. Polvere siamo e polvere ritorneremo: che almeno, nel frattempo, si eviti la sabbia negli occhi.
Per impegno personale e per il senso del tempo che passa ho il bisogno di spiegare e confrontarmi quel che sento non voglio essere giudicato da chi vende la speculazione come educazione. Torno al blog abbandonato da anni anche perché su Facebook è tutto “usa e getta”. E scrivere per regalare contenuti ragionati a spreco era solo una manifestazione delle mie insicurezze e tanto vale risparmiare tempo.
Io credo sia forte il degrado della società a seguito della tecnologia e dell’invenzione di nuovi paletti e segnaletiche per ciò che è considerabile opportuno o inopportuno: e soprattutto DA CHI?
Con gli indiscutibili vantaggi che la comunicazione digitale permette, l’evoluzione di internet è andata in direzione opposta alla democratizzazione della cultura che avevamo sperato quando la usavamo in 23. Per questo torno al blog o magari anche al “nulla” pre-internet: così com’è non mi va. Mi fa ridere Claudio quando dice: “A me Facebook a me non serve, ho già la portinaia e il mio lavoro mi basta e avanza”.
Con la Rete gli anni di studio e la capacità di argomentazione sono annullati, mortificati: si possono ormai buttare via intere biblioteche o una vita di preparazione e osservazione “tanto c’è wikipedia” (con tutta l’arroganza che questa enciclopedia comporta, oltre alle sue finalità… bulli saputelli che ritengono proprio diritto correggere e cancellare). E proprio Facebook è campione di arroganza: permettendo parole o immagini in alcuni Paesi sì ed altri no in base alle sue convenienze, permettendo degrado e bassezza quando fa loro comodo. Per anni ho archiviato alcune tra le mie riflessioni che avrei pubblicato nel blog in una sezione di Facebook chiamata NOTE che qualche anno fa è stata cancellata senza avvertire, insindacabilmente. Una perdita non solo per me ma anche per altri amici (Giovanbattista, che è uno storico di costume e spettacolo per esempio).
Il dramma della Rete (dove siamo caduti) è infatti ancora più grande, secondo me, per la comunità che ho aiutato a nascere in Italia: quella LGBT*xyz, per gli uomini gay in particolare. Le false facilitazioni delle app e le scorciatoie dei social pieni di luoghi comuni e insulti mi inquietano e per i gay sono spesso puro anal/fabetismo.
Non abbiamo il coraggio come homo sapiens di affrontare la zona di confine/confusione tra ragione e istinto? I social network sono lo strumento migliore per fare casino perché nulla cambi davvero.
Le coincidenze, e la spiegazione della mia scelta ribelle le ho trovate nella radio.
Come molti/e di voi sanno con la radio sono cresciuto, mi sono formato e ricostruito. Grazie alla radio ho addirittura trovato marito (ma questa è una storia a parte).
Alcuni programmi radio hanno segnato la storia della mia vita: Alto Gradimento di Arbore e Boncompagni prima di tutto, L’Altro Martedì che ho pensato con i miei migliori amici e condotto (è stata la trasmissione gay di più grande successo nella storia della radio italiana). Poi arrivò l’AIDS e smettemmo quella formula dissacrante, non adatta ai tempi.
La radio privata italiana ha fatto passi indietro ed è diventata con gli anni un deserto d’intelligenza, superficialità e puttanate da bar sport vendute come valore, ancor peggio della TV. Fosse per me salverei solo (e non completamente) Radio3 RAI. Scrissi anche in RAI per cercare contatti ma non rispose mai nessuno. Probabilmente anche a sinistra o nella cultura devi avere gli “amici giusti” e io professionalmente avevo lavorato per anni in un altro campo: attiguo, quello della pubblicità… ma in Italia la creatività funziona a compartimenti stagni.
Che poteva fregarmene? Ero ormai diventato mezzo spagnolo e quella cultura mi ha salvato la vita. Quella lingua con i suoi “pattern” e il suo approccio all’esistenza mi ha dato tanto quanto la lingua inglese o quella francese, forse di più. Devo molto a mio fratello che ci vive, a Jorge Luis Rodriguez Zapatero, uno degli uomini politici che più stimo al mondo e al fiume di amiche/amici che ho lì.
Ma devo molto alla musica spagnola che mi ha aperto la strada (insegnamento di Paola Frezza, la mia prof d’inglese alle scuole medie). Per questo aprii su Facebook una pagina che cercava di raccontare la musica che mi piace e porta lo stesso nome di questo blog. La musica che mi piaceva naturalmente non era solo spagnola ma lì c’era per me tanto da scoprire e raccontare… e non basterà una vita intera. Se il suono di quelle parole è per le mie orecchie musica, figuriamoci quando sono cantate sottotono, in maniera morbida e incantatrice, in modalità un po’ teatrale… come nel Donosti sound (Le Mans, Family, La Buena Vida, Single) o Hidrogenesse, ovviamente La Prohibida, Chico y Chica, La Terremoto, Espanto, Alaska e Fangoria dei momenti migliori…
Proprio grazie alla musica mi ha fatto da guida, per anni e anni, un programma radio di Radio3 spagnola, Siglo 21. Alternava alla musica di ricerca (nazionale o internazionale) interessanti e originali visioni geopolitiche, curiosità, stimoli e allarmi culturali, racconti in prima persona dei musicisti: la formula originale cambiava ogni giorno e mi accompagnava mentre facevo ginnastica per i miei dolori di schiena o buttar giù qualche chilo.
Per me “esiliato emozionale” Siglo 21 era un mondo a parte: dava vita in un angolo di via Giambellino alla Spagna ideale e la voce incredibile di Tomás Fernando Flores mi ha fatto scoprire, per esempio, Rosalia e Rodrigo Cuevas.
Oggi Siglo 21 come trasmissione non c’è più: l’ho scoperto per caso e incredulo un giorno al ritorno dalla Spagna e non mi ci sono ancora rassegnato: come potrò farcela?
Però roprio nelle parole di addio del conduttore Tomás Fernando Flores ho capito il perché (e non l’ho ancora capito tutto). Ma è il MOMENTO DI CAMBIARE.
Ieri Giuseppe Sala è stato confermato Sindaco di Milano, evviva. Chissà se la mia città di nascita diventerà nei prossimi anni sempre di più la città italiana crocevia da/per il mondo o un bluff di speculazione edilizia e pretese (che sono anche il suo forte, nel bene e nel male: spesso le trasforma in promesse che sa mantenere). Io tra qualche anno diventerò spagnolo.
Se capisci lo spagnolo ascolta gli ultimi 5 minuti dell’ultima trasmissione di Siglo 21. Ma te li ho riassunti sopra: E’ ORA DI CAMBIARE tanto ci pensa già la vita a cambiare noi comunque.
https://www.rtve.es/play/audios/siglo-21/fin-03-09-21/6085619/