non so come si possano fare film così brutti.
sono andato a vedere l'opera ultima e acclamata di Paolo Sorrentino senza leggere niente (critiche positive o negative), entusiasta semplicemente del trucco di Sean Penn. un'icona assoluta. e avrei perdonato molto, se avesse avuto dei difetti. ma qui non c'era niente da perdonare.
un cast incredibile (Frances McCormand prima di tutti) con una recitazione straordinaria (anche se forzata e grottesca) riempiva una serie di inquadrature da cartolina, perfette, che avrebbero fatto il successo di qualsiasi spot o videoclip.
ma "this must be the place" era un lungometraggio che non stava in piedi, che non sapeva dove andare e pescava in argomenti più grandi di lui (l'Olocausto!!!) per cercare una trama ad effetto che non si rivelava neanche patetica: semplicemente noiosa. di quella noia che (visti i soldi utilizzati) ti fanno pensare di essere fuori luogo tu finché non senti sbuffare qualcuno al tuo fianco. e ringrazi che l'impazienza del vicino copra un doppiaggio insolente e pedante, che rende insopportabile quel che è già patetico.
"this must be the place" è un film di pretese fatto da chi non sa bene cosa dire nella speranza double-bind che chi lo vede abbia paura di sbadigliare o di criticare perché è un film "intello", cool o "alternativo" (capirai, co-prodotto dalla Medusa, ossia Berlusconi).
e quella citazione da un lato pedestre e dall'altro stravolta di Robert Smith dei Cure cosa c'entra? come le fragole con lo zampone.
la dimensione e la vita di una rockstar appassita e in declino (tema molto bello) diventano l'insensata raccolta riciclata di conformismo e luoghi comuni. neanche un sorriso fa capire come mai a 60 anni uno si trucca ancora come Bette Davis. mah. e Robert Smith trasformato in ebreo? doppio mah.
morale: se stai a casa tua, una volta nella vita riesci a fare un film come "Il Divo", poi vai in America e fai una cacchiata imbarazzante. this must be the sense.
fuori dal cinema, gli elementi di vita comune lungo il percorso, dalla pubblicità di una banca al graffito sotto casa, alle insegne del un salone di massaggio cinese mi apparivano come conferme bellissime e felici di un ritorno alla realtà.
è vero: io odio i brutti film, tanto quanto amo vedere il cinema su grande schermo.
odio i brutti film perché siccome il cinema è un posto dove qualcun altro ti propone di condividere alla grande i suoi sogni e le sue visioni, un brütto film è tempo rubato al sonno, alla lettura di un buon libro, a un "mi piace" qualsiasi nel profilo facebook di un'amica o di un amico.
e ho pensato "this must be the place" quando ho varcato la soglia di casa mia.
Perfettamnete d'accordo. Forzato il personaggio, doppiato come se fosse un autistico. Paradassalmente sarebbe riuscita meglio quell'idea di personaggio anacronistico se avesse parlato in maniera meno caricata. Bellissimo esercizio di stile fotografico, però poco funzionale se non a se stesso, perché la storia non arriva, e non si capisce neanche da dove inizi e come si collochi poi dentro la vicenda del film e del personaggio, la parentesi dell'olocausto. Una parentesi, un espediente o il vero cuore del film? non si capisce. E alla fine il bambinone depresso ci stupisce scegliendo una giustizia esteticamnete d'effetto, imboccando una sigaretta, prendendo l'aereo e infine dismettendo trucco e parrucco posticci. Non mi è piaciuto per niente
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