lunedì 15 febbraio 2010

Diane Arbus dei Poveri. LA MODENA CHE HO VISTO.

Da adolescente pensavo a quanto sarebbe stato noioso e prevedibile (per me) crescere in Italia dove il massimo della differenza era tra terroni e polentoni, Don Camillo e Onorevole Peppone, mariti annoiati in vacanza o cornificatori in città. Spazio per me ne vedevo poco. L'arrivo di persone dagli altri continenti mi è sempre sembrato il più bel desiderio realizzato. Sognavo storie erotico/amorose, immaginifici incontri e mix di destini. Ovviamente mi ha sempre fatto schifo la parola extracomunitari, e il fatto che abbiamo attirato un numero spropositato di delinquenti, forse perché noi italiani non siamo un buon esempio per i nuovi cittadini).

Al di là delle mie elucubrazioni e desideri di mondializzazione (grazie internet!), mi à bastato un salto poco tempo fa in una città italiana bella e sottovalutata per constatare che i neri nell'immaginario collettivo italiano si sono da secoli e -da quanto fa immaginare lo stemma qui fotografato- non erano badanti o venditori ambulanti ma dignitari o Capi di Stato.

W Modena, e l'arte che la anima. Se sono felice di essere cresciuto al Gratosoglio -quartiere dormitorio orrendo dove però avevo il vantaggio di prendere il tram e arrivare in mezz'ora a piazza del Duomo, Milano- anche nascere a Modena avrebbe avuto il suo incanto (non lo dico di tutti i posti, neh?).

Ho girato tra monumenti bellissimi, negozi di moda vera o con parrucche un po' travesti (in una città così il moderno fa ancora più effetto perché lo vedi per quel che è una rivolta individuale e un po' disperata contro la solitudine), e l'occhio mi cade sulla notizia, strillata nei manifesti dell'edicola, di un quotidiano locale.

Una persona del luogo (non so se turista o reporter) ha scoperto in Africa, in una discarica del Ghana una serie di adesivi del Comune di Modena... incollati ai rottami del mare i computer che -a fine della loro onorata carriera- qualcuno aveva mandato in una discarica lontana (come se il pianeta non fosse uno, come la zia scema che nasconde lo sporco sotto il tappeto). Questo è veramente troppo, ho pensato, e ho sperato che tutte le persone di colore in città non si accorgessero della notizia.
Siamo andati là, abbiamo portato la buona novella con le armi, abbiamo preso per decenni quel che ci serviva, abbbiam messo su villaggi turistici ed oggi esportiamo la nostra pattumiera tecnologica. Poi quando sono qui li chiamiamo extracomunitari. Chissà come chiamano noi: subumani?

Diane Arbus dei Poveri. ARIA DI ELEZIONI.

Non so ancora in quale partito si presenti (o se n'è inventato uno?) il Zambetti, ma questo modo di rappresentare "il nuovo" attraverso una scopiazzatura tardiva e malfatta di Warhol con lo slogan "Coloriamo la Lombardia" è veramente Milano 2010. Mi viene in mente la legge del trash insuperabilmente formulata da Tommaso Labranca: Intenzione - Risultato Raggiunto = Trash. Altra forma di governo e di manifesto colorato (all'uscita della medesima stazione della Metropolitana), very Milano 2010 è anche questo manifesto in lingua non intelleggibile da me (thai? sri lanka?): cosa pubblicizzerà? Un dittatore da riverire e amare? Una festa in maschera dress code obbligatorio?

Diane Arbus dei Poveri. LA VICENZA CHE HO VISTO.

Mi capita spesso per lavoro di andare qualche ora in un'altra città, andata e ritorno nello stesso giorno. Ovviamente, essendo trasferta di lavoro, non riesco quasi mai a vedere nulla di fondamentale tipo monumenti che meritano la visita di 3 ore con guida parlante e bandierina o mostre d'arte che assolutamente non bisogna perdere, e io dormiglione da week-end finirò per perdere. Ma non significa che io non veda niente. Anzi, forse, come è più facile ricordarsi una canzonetta che le Variazioni Goldberg non saranno queste le cose ti tornano alla memoria? E poi questo sguardo frammentario, preciso e un po' atteccabrighe è internet 100%. Comincio oggi a condividere le mie visioni, con qualche arretrato. Il primo è Vicenza, un mese fa.