martedì 12 luglio 2011

PERDONATE MILANO.

la pubblicità celebra spesso il luogo comune, e quando ci sono spot che mi fanno schifo, pena e compassione perché oltre il luogo comune non riescono ad andare, penso che magari avevano finito le idee, e nel paese dei 100 campanili tappare il buco una romagnola, un romano, un napoletano o un siciliano è un male minore (più difficile che si trovi simpatico il piemontese, lì sarebbe la sfida di vera creatività).

se però c'è un dialetto che non mi piace venga usato è il mio: il milanese.
già mi dà fastidio quando si fan passare da milanesi quelli della Lega Nord che notoriamente sono brianzoli o bergamaschi o altre zone ma di Milano no (roba da albero degli zoccoli, che non a caso molti di loro chiamano zoccole).
ma in pubblicità NO. già dovevamo vergognarci di essere milanesi fino a Pisapia, dato che invece dell'altruismo onesto milanese eravamo diventati simbolo della rapacità finto tonta. ma l'esibizione del baüscia in pubblicità mi fa proprio pensare che la pubblicità come "arte" sia proprio a fine percorso. quello che negli anni 70, 80 e anche 90 era un territorio di sperimentazione, la scrittura per sintesi, un innesto di poesia o emozione sul commercio, oggi è un cimitero. batte cassa e vola bassa.

la colpa è certo della grisi mondiale, ma in Italia è decisamente peggio (come testimonia ogni anno il Festival di Cannes) vista la sconsiderata importanza data a ripetizione e frequenza dei messaggi rispetto al contenuto, cavallo di Troia, e regalo della TV privata. per vigliaccheria o per convenienza non si è ancora scritto quanto Mediaset prima e RAISET poi abbiano distrutto la qualità delle pubblicità in Italia (e mandato in fallimento, con il discount di servizio alle aziende, decine di case di produzione indipendenti... altro che creare posti di lavoro!).

se la reklame conta e ispira sempre di meno (20 anni fa c'era chi pensava fosse più bella dei programmi!), adesso vive no problem il ruolo di tortura necessaria e non ha più vergogna di niente: la tracotanza può diventare contenuto e forma insieme: così la baüscia (per i non milanesi, la saliva) inondare da Cologno Monzese l'Italia, estendensosi fino alla pubblicità radio che finora ha goduto di un margine di libertà relativamente maggiore.

ha iniziato 2 anni fa la Skoda Yeti con il tormentone "Ga el SUV" che quest'anno - con un ritardo che la dice tutta - sono riusciti a premiare nella manifestazione di categoria chiamata Radiofestival (dove i pubblicitari oltre a cantarsela e suonarsela se la premiano).
e siccome da noi la storia di ripete prima in tragedia e poi in barzelletta, è ora in onda la pubblicità radio di un'altra auto, Suzuki Swift, dove il proprietario bofonchia e spacconeggia per poi invitare il povero posteggiatore a cercare un posto "sì... ma di lavoro!".
il tono di voce diventa una pietra al collo per la qualità aspirational che l'auto vorrebbe avere e senz'altro i costruttori/importatori giapponesi non sanno che più in basso di così c'è solo Scilipoti.

si diceva un tempo " la pubblicità è l'anima del commercio". si poteva dargliela ancora, un'anima.

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